domenica 16 giugno 2013

A chi che no ghe piase el vin...

Due weekend fa sono stata a Venezia.
Venezia, inutile girarci intorno, Venezia è qualcosa che ti entra dentro, come l'acqua alta negli androni, come l'odore di laguna appena arrivi, come quella vista abbagliante appena scendi gli scalini di S. Lucia.
Fino a qualche anno fa Venezia mi metteva soggezione. L'avevo conosciuta in circostanze strane e ogni volta che il pensiero tornava lì mi assaliva un'ondata di tristezza, come di un appuntamento mancato, di parole incomprese, di occasione persa. Avete presente quando riguardate delle foto in cui siete ritratti in posti meravigliosi, ma a voi viene solo il magone perché vi ricordate benissimo di quanto - nonostante tutto - voi foste infelici? Nove su dieci di fianco a voi nella foto c'è un'altra persona. E mentre la foto vi  immortala, non lo rivelerete mai a nessuno, ma ricordate perfettamente che stavate pensando "vorrei essere qui, ma non con te".

Poi la vita fa strani giri, passa qualche anno, e con quell'ironia che solo il destino sa avere, non faccio quasi in tempo a incontrare un uomo di cui riesco a innamorarmi follemente nel giro di dieci minuti, che lui, dopo una settimana scarsa di frequentazione, se ne esce con: "ti porto a Venezia".
Ecco, fantastico, mi porta a Venezia.
Vorrei ridere. Vorrei piangere. Vorrei dirgli che non sa in che casino si sta cacciando, che per me Venezia è molto più di quello che pensa, che non ne ha idea, che io a Venezia mi porto addosso un carico che levati.
E invece, mentre nello stomaco non ho le farfalle ma un'intera orchestra che mi trapassa le budella al ritmo del Rondò, io sorrido, faccio quella che va a Venezia un weekend sì e l'altro pure e rispondo "perché no?".

Poi alla fine in tre giorni siamo usciti di casa un'unica volta, sabato sera, per andare a cena.
Il resto del tempo l'abbiamo passato in 7 metri quadri.
Un'intera casa a disposizione, un salotto che si affaccia sul canale e sulla statua del Colleoni, tre camere da letto tra cui scegliere, ma noi no, sul ballatoio del soppalco, dormendo (dormendo?) su un divano che, aperto, diventa un futon.
Venezia fuori, e noi lì, sul futon, nutrendoci di Grancereali, crostini e vino rosso.
Non necessariamente in quest'ordine.
Però è così che ho fatto pace con Venezia.
Mi sono sentita accolta, protetta, intrigata e felice. Mi sono sentita bella.
Bella negli occhi di lui, bella nel riflesso della laguna, bella nell'eco delle calli e nel bicchiere in cui l'oste versa un'ombra ancora, prima che la notte ci inghiottisca.
Ed è così che Venezia mi ha perdonata.
Per non averla capita, per non averla voluta, o forse per averla voluta troppo, vai a sapere.

Fatto sta che da allora, ogni volta che ci torno - e ci torno spesso - mi mette di buonumore. Così, senza motivo.
Ormai mi è chiaro che Venezia è una signora elegante, affascinante, spesso malinconica, di quella malinconia di chi ha vissuto davvero, di chi ha dei segreti e non li svela. Venezia è uno scherzo. Qualcosa che non dovrebbe esistere. Una città costruita sull'acqua. "Ma davvero?" Sì. Davvero.

Mi piace fare il tragitto dalla stazione a casa a piedi: mi piace il labirinto delle calli che all'improvviso si aprono in campi e campielli che ti tolgono il fiato. Mi piace sbirciare attraverso le finestre delle case e nei bacari, spesso pieni di accozzaglie che hanno un senso tutto loro, e io vorrei portarmene a casa la metà, ché nella mia mente ho già trovato un posto a ognuno, fra il salotto, la cucina e la camera da letto. Ma soprattutto mi piace origliare i discorsi dei veneziani, che anche se stan parlando di IMU a me sembra poesia. Che poi, io non gradisco la  blasfemia, ma la bestemmia in veneziano - diciamocelo - è arte pura.

Poi c'è questa cosa che mi capita a Venezia (ok, mi capita un pò dappertutto, ma a Venezia molto di più). Cioè che ovunque io vada, qualsiasi posto io visiti, palazzi, case, negozi, spazi espositivi, mi ritrovo sempre a immaginarmi di vivere lì.
In questo post avrei voluto parlare di questo: di come vado a vedere le mostre ma in realtà quel che davvero mi rapisce sono i contenitori delle mostre, di come mi aggiro per i saloni di Palazzo Cavalli Franchetti pensando "qui farei la cucina, qui la stanza degli ospiti, qui il bagno della camera padronale con affaccio privato sul parco, qui un'ampia zona giorno (of course!)". Di come ai vernissage io mi eclisso per fotografare i particolari delle stanze, i soffitti, una porta, un pezzo di muro.

no, davvero, ti lascio l'opera d'arte, ma fammi vivere qui

Ma con Venezia è così: tu ci provi, e alla fine comanda lei.
E' così da quel weekend di marzo di tre anni fa.
Che quando sono tornata la gente mi domandava: e allora? Bella, Venezia, eh?
E io avrei tanto voluto rispondere: e chi l'ha vista Venezia?
Invece dicevo: stupenda, mi sono innamorata.
Ed era vero.

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