mercoledì 10 aprile 2013

Salone, Fuorisalone e io già mi perdo

Lunedì è cominciato il Salone Internazionale del Mobile.
C'è da dire che se i Milanesi sono amanti delle novità, Milano di fatto è tradizionalista, e come ogni anno la città meneghina accoglie l'Evento of the Year nel più rigoroso rispetto delle  tradizioni: con la Pioggia da Salone e lo Sciopero da Salone, che insieme creano un mix esplosivo per il quale solitamente lancio anatemi a ogni angolo di strada e invento improperi sfavillanti.

Grazioso ma non trascurabile corollario dell'irriducibile Pioggia da Salone è che inevitabilmente porta noi gentili fanciulle ad aggirarci per Saloni, Satelliti e Fuorisaloni con gli altrettanto classici Capellidimerda da Salone.
Personalmente, per fare qualcosa di nuovo stasera ho intenzione di presentarmi ai party del Fuorisalone coi capelli sporchi, che per l'occasione definirò didesign.
[mi trovate al Bar Basso dalle 23 - sarò quella coi capellidimerda]

Quest'anno pare che per essere cool (ma dire cool ormai fa molto 2012, quindi non fatelo), bisogna citare almeno 4 fra i seguenti termini: mainstream, matericità, fabionovembre, concettospaziale, mainstream, openingparty, lineefluide, integrazione, mainstream, contaminazione, installazione, lightdesign, creativo, vernissage, inaugurazione e mainstream.
Anche a caso. Anche ripetendoli. Mainstream. Ecco.

Invece, pur avendo i capelli perfetti, ieri non sono riuscita a partecipare al workshop di Cinzia Felicetti, Direttore di Marie Claire Maison, che si è tenuto allo Spazio Verger di via Varese 1.
Il titolo del mini-workshop è Vivere a colori - Dal guardaroba all'arredo, come scegliere la propria palette ideale. Perché, anche in casa, l'eleganza è una questione di sfumature.
Praticamente il mio mantra espresso in forma chic e senza parolacce.

Mannaggia a me, al mio lavoro e alle improrogabili urgenze dell'ultimo minuto - clienti adorati, sì, dico a voi, io vi odio! Insomma, non ce l'ho fatta.
E mi spiace, perché se è vero (e io ci credo) che "il colore rappresenta un'arma a doppio taglio, sia nell'abbigliamento che nell'arredo", io quell'arma la voglio maneggiare come Beatrix Kiddo con la sua katana di Hattori Hanzo.


Non sono bionda, non ho gli occhi azzurri e il giallo non mi dona; a parte questo potrei essere lei

Per capirci: ho vissuto i primi 12 mesi della mia vita in una casa in cui non ho mai più rimesso piede; eppure ho distinti ricordi di un divano marrone (un solido pantone 440) e del rosso aranciato dei pavimenti in cotto. I miei genitori peraltro confermano tutto.

Quando mi sono trasferita a Milano per frequentare l'Università, ho letteralmente ricoperto il mio appartamento da studentessa di roba verde: pareti, porte, mobili della cucina, persino i pavimenti. Forse nella grande città mi mancavano i prati di casa, vai a sapere.

Poco dopo mi sono trasferita in un paesino poco distante, per amore. Casa anonima, da ragazzina che gioca a fare la mogliettina frustrata. Qui ho imparato che nella vita si può essere anonimi. Che io posso essere anonima. E che non mi piace. L'amore di provincia non ha funzionato.
Di nuovo Milano, nella casa della prateria verde.

Poi l'amore, di nuovo, e allora un'altra casa, perché le case sono fasi della vita, proprio come i colori. Una casa bianca e beige. In questa casa mi sono innamorata delle cucine bianche, del Corian e del touche de rouge che da quel momento mi ha sempre accompagnata, sottoforma di quadro alle pareti, di una poltrona color fragola o di una stanza intera.

Poi un'altra casa, bellissima, finalmente spaziosa, con un'ampia zona giorno (non riesco a non pronunciare queste parole senza imitare la voce della Paola Marella - ciao Paola ciao!). Lì ho imparato ad amare le linee minimaliste, il bianco e il grigio. Col passare del tempo, è stata sempre più grigia.
Questa è stata la casa dei muri storti e di tutto storto.

La casa della rinascita era un mini-appartamento in una casa di ringhiera, che pur non essendo mia ho personalizzato fino al midollo, quasi senza accorgermene. Il bagno era troppo blu e aveva bisogno di leggerezza trasparente. Il salotto era troppo bianco, e quel divano troppo scomodo per essere anche bianco, così (grazie a Santa Ikea, la protettrice degli indecisi) ho cambiato le fodere, aggiunto qualche cuscino in nuance, piazzato libri di arte, foto e viaggi disponendoli in modo che risaltassero i colori delle copertine. Risultato: il parquet d'epoca finalmente chiacchierava amabilmente con l'ecrù del divano, e i cuscini erano in tinta con le tazzine da tè che avevo acquistato per i miei momenti di brama incontrollabile di latte parzialmente scremato
(mi pare evidente che non sono un'amante dei colorini, tipo il lilla, l'arancione - aborro l'arancione - il verdino, l'azzurrino...)
L'atmosfera d'epoca, il color rovere del parquet e il verde delle piante in cortile sono stati il mio guscio per molti mesi; invece di svegliarmi morta, come temevo, mi sono ritrovata a ridere come una folle, nuda, su quel divano ecrù.

Mi siccome le case sono fasi, ho voluto abbandonare il guscio. La casa con le scale e il camino, due elementi che ho sempre desiderato fortemente fin da piccola, perché tutti i miei cugini abitavano in case con scale e camini e io no, è stata quella davvero di passaggio. Quella della progettazione. Quella degli scatoloni svuotati a metà, dei weekend altrove. Un caleidoscopio di colori caldi, il parquet in wengè, il marmo bianco nella cucina a vista e le mensole di cristallo sembravano aspettare il freddo dell'inverno per fondersi insieme alle fiamme del camino. Qui ho imparato che la camera da letto in mansarda è meravigliosa, ma se ti dimentichi la bottiglia d'acqua e ti viene sete saresti disposto a vendere un rene pur di fartela portare.

E ora, la fase attuale, quella dell'esplosione.
Una casa tostissima, che vince sempre lei. Che ha talmente tanta personalità che banalizzarla è un attimo. Che richiede attenzione, delicatezza e decisione. Che - per la prima volta - è davvero colorata: grigia, verde, blu e rossa. Follemente e inesorabilmente rossa.

E io avrei tanto voluto partecipare a quel workshop ieri.
Nessuno che ci sia andato e abbia preso appunti? Un paio di ripetizioni? No?



2 commenti:

  1. Così tu vuoi rubarmi il lavoro eh, BISOGNA AFFIDARSI A UN ARCHITETTO (scusa ma c'è crisi!).
    ;)

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  2. Ma figurati, anzi, se leggi bene è esattamente quello che suggerisco: professionismo professionismo professionismo! Pensa che all'ultimo giro mi sono affidata a ben 2 architetti contemporaneamente, con le (nefaste) conseguenze che puoi leggere qui http://ampiazonagiorno.blogspot.it/2013/03/lunione-fa-la-forza-o-no.html

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